Mettono competenze, tempo, mani e cuore per creare nuove opportunità a persone con fragilità psichica e fisica e ne favoriscono, , in particolare, l’inserimento lavorativo.
Stiamo parlando degli educatori e del personale impegnato nell’Associazione “Lo Specchio”, la onlus milanese con cui Atum collabora dal 2016, condividendone l’obiettivo di promuovere l’etica del lavoro in tutte le sue forme, in una prospettiva sociale di condivisione e supporto a situazioni di difficoltà. Una condivisione che a Natale prende le forme concrete di un supporto economico fattivo: da anni, infatti, Atum devolve alla Cooperativa sociale il corrispettivo delle strenne natalizie aziendali.
L’ASSOCIAZIONE LO SPECCHIO – Lo Specchio è una realtà articolata, viva e generativa che ha vissuto questo anno difficile con grande preoccupazione e responsabilità, mettendo tutte le forze nel salvagurdare la salute e la “stabilità” quotidiana di ospiti e dipendenti.
Una comunità che raggiunge circa una quarantina di persone tra dipendenti (11 presenti di cui 7 fragili), tirocinanti – 20 quelli “fragili” in carico al Comune di Milano e ad enti accreditati impegnati nell’associazione – soci volontari lavoratori (4), cui si aggiunge una rete di 30 volontari diffusa sul territorio. Volontari eccezionali: tutti pensionati oltrasettantenni che aiutano l’associazione attraverso la loro attività svolta a domicilio. “Una solidarietà circolare” si potrebbe definire, dove al supporto concreto verso l’associazione corrisponde una compartecipazione che li rende nuovamente impegnati, inseriti in una rete sociale e utili alla comunità.
E ancora, l’associazione collabora con Istituti scolastici per progetti di alternanza scuola lavoro (sia con ragazzi fragili, ma non solo) e con gli enti preposti per percorsi e misure alternative alla detenzione o di comunità.
Ma come hanno vissuto e continuano a vivere realtà come “Lo Specchio” questa situazione difficile legata alla pandemia? Lo abbiamo chiesto a Carlo Raffa, coordinatore dell’Associazione Lo Specchio, nella voce la passione per il servizio che svolge quotidianamente.
“Oggi non potrei fare altro lavoro che questo”, esordisce Carlo al telefono. 58 anni, programmatore e analista informatico, alle spalle molteplici esperienze lavorative in banca, in azienda e in una multinazionale, Carlo ha vissuto in prima persona la crisi del 2008. Dal 2014 è impegnato a tempo pieno nella cooperativa come coordinatore e da qualche mese sta frequentando il Corso per “Disability Manager”, promosso dal Comune di Milano, attraverso l’apporto dell’Associazione A&I, ente del terzo settore che si occupa di politiche attive del lavoro.
Come è stata vissuta e come continuate a vivere “dall’interno” questa pandemia che ha fatto tremare certezze acquisite?
«Stiamo vivendo, come tutti, con grande preoccupazione. Non tanto, o non solo per noi stessi, ma soprattutto per quanti ci sono stati affidati e di cui ci sentiamo responsabili. Abbiamo dovuto stendere un protocollo di sicurezza e ci siamo chiesti come le persone “fragili” che seguiamo avrebbero potuto accettare le limitazioni e le rigidità di comportamento cui la pandemia ci ha obbligati, proprio per la salvaguardia della salute di tutti. Per queste persone perdere i punti di riferimento, quelli che noi definiamo “i riti” quotidiani, ha significato un impatto importante sulla loro psicologia. Sono persone fragili, molto abitudinarie, e questa nuova situazione ha sconvolto la loro quotidianità e abitudini».
Quale la risposta degli ospiti?
«Dopo alcuni momenti di difficoltà iniziale la risposta è stata incoraggiante e costruttiva. Teniamo presente che le persone con cui lavoriamo percepiscono il contatto fisico come elemento fondamentale. Il distanziamento, la mancanza di un abbraccio è per loro un’assenza sostanziale».
Quale l’aiuto particolare che avete potuto dare loro, in un ambiente comunque protetto?
«Si è cercato di infondere loro sicurezza e tranqullità, adeguando tempi e spazi alla nuova situazione. Aiutandoli ogni giorno a far propria la nuova quotidianità: richiamandoli alla responsabilità gli uni verso gli altri. Le persone fragili sono al contempo “egoiste” ma attente e solidali verso coloro che ritengono più fragili. L’esclusività di cose e di affetti colma, in loro, un vuoto esistenziale ma sanno darsi quando intuiscono la difficoltà nell’altro».
Quali sono le esigenze che come operatori sentite di dover far emergere e quale il messaggio che vorreste passasse anche all’opinione pubblica?
«In questo momento in cui egoismo e tornaconto personale – caratteristica, a mio avviso, diffusa nella nostra società – rischiano di prevalere in questo nostro rinchiuderci in un “privato più sicuro”, diventa ancor più importante la solidarietà e l’attenzione verso i più deboli. L’abnegazione di medici, infermieri e volontari ce lo stanno dimostrando una volta di più. Perchè, lo sappiamo, nessuno si salva da solo».
Lo Specchio, il nostro Logo
Le due cc della parola specchio sono una di fronte all’altra a creare, anche visivamente, il “gioco” dello specchio.
Nel Logo le due cc diventano due persone riprese dall’alto: l’una di fronte all’altra, allo specchio, identiche – sia pure con colori differenti – rappresentano i due soggetti della cooperativa:
– la persona con fragilità che si riscopre utile nello svolgere un lavoro
– il volontario/dipendente della cooperativa che, in questo confronto, scopre che l’altro ha le stesse esigenze e desideri (guardare l’altro come guardarsi nello specchio).
Compaiono due mani che esprimono il lavoro manuae e il servizio tipico della cooperativa. E ogni figura ha una sola mano: perchè il lavoro viene eseguito insieme.
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